La Corte di Appello di Firenze con sentenza n. 1213 pubblicata il 16.6.2021, in accoglimento delle argomentazioni svolte dall’avv. Francesca Bucciarelli Ducci, ha rigettato l’appello della controparte appellante che eccepiva la nullità della propria chiamata in causa in primo grado in quanto il chiamante non aveva proceduto alla notificazione nel rispetto dei termini a comparire e ciò nonostante era stato rimesso in termini al fine di procedere nuovamente alla chiamata del terzo. Il terzo costituitosi in giudizio eccepiva la nullità della chiamata. La Corte di Appello di Firenze ha rigettato il motivo affermando che “Rileva infatti il Supremo Collegio che il terzo chiamato nel giudizio introdotto fra altri, non può svolgere, in quanto privo di interesse, “eventuali contestazioni che ineriscono la stessa ritualità della propria chiamata (…) con riguardo al rapporto processuale originario (…) poiché esse riguardano il rapporto processuale altrui ma non sono suscettibili di pregiudicarne la decisione, avendo solo determinato l'ingresso del terzo nel processo, che altrimenti in quel rapporto sarebbe stato precluso”. Di qui il principio secondo cui “quando il convenuto ha esercitato il potere di chiamare un terzo in causa senza l'osservanza del precetto di cui all'art. 269 c.p.c., comma 2 (...) la decadenza così verificatasi dev'essere eccepita dalla parte attrice e rilevata d'ufficio dal giudice in detta udienza. “Qualora, invece, il giudice, in difetto di eccezione della parte attrice, conceda in tale udienza al convenuto un termine per la chiamata per un'altra udienza successiva, deve ritenersi che - ferma restando la possibilità della proposizione di un'eccezione dell'attore nella prima difesa successiva alla concessione di tale termine circa l'irritualità dell'esercizio di tale potere da parte del giudice e, quindi, circa la nuova nullità verificatasi, nonché ferma restando la possibilità di una revoca del provvedimento da parte del giudice ai sensi dell'art. 177 c.p.c., comma 1 - il terzo che venga chiamato in causa in forza del provvedimento del giudice non può eccepire la irritualità dell'esercizio di tale potere, atteso che egli è carente di interesse a farla valere, dovendo il suo interesse a far valere questioni relative al rapporto processuale originario correlarsi alla correttezza della decisione in merito o in rito su di esso e non alla stessa ritualità della chiamata"